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Padiglione Tedesco, Barcellona 1929 di Mies van der Rohe

Tesina scritta nell'ambito del corso di storia dell'Architettura II

Tutto parte da una lastra: la lastre di onice. Mies la comprò non appena gli fu commissionata l'opera. Non vi era tempo per sceglierne una fatta su misura e si dovette "accontentare" di quella che riuscì a trovare. Si fa per dire, visto che spesse esattamente un quinto dell'intero costo del padiglione. Dopo tutto, la struttura doveva accogliere il re di Spagna. La storia di Mies e della parete potrebbe continuare a lungo, ma ciò che ci importa far capire è come questa sia stata il metro di tutto l'edificio, "l'accidente" che se saputo domare crea architettura. Le sue misure hanno proporzionato tutto il resto. Ha inoltre suggerito quale doveva essere il linguaggio architettonico da usare: il De Stijl ovviamente. Da quel momento le lastre si sono fatte 1000: materiche nei setti murari; virtuali nello specchio d'acqua; sospese come le coperture; evanescenti come le vetrate. L'importante che siano lastre, isolate o continue oltre la giuntura. Queste superfici si fanno parole di un meraviglioso discorso dove la grammatica è il rigore razionalista, la poesia è la fluenza spaziale. La sintassi della struttura portante parla il linguaggio dell'acciaio: pilastri cruciformi, cromati per sparire allo sguardo. La loro forma è molto più indagata di quanto possa apparire. Solo in sezione se ne riesce ad apprezzare le doti tecniche. Per quel discorso che fa Mies sulla verità del procedimento costruttivo, vengono lasciate delle viti a vista sulla superficie dei pilastri che fanno presagire quanto avviene all'interno. L’innesto con il tetto in cemento armato avviene con una semplice compenetrazione tra le parti che ci suggerisce una visione paratattica del progetto, ovvero per somma di elementi. Risulta facilmente intuibile il sistema con il quale agiscono le forse. In questo senso possiamo dire che non si ha voglia di occultare il processo di fabbricazione, seppure venga usato un elegante fare plastico alla Wright. La magniloquente bellezza del padiglione è esclusivamente affidata alla decorazione intrinseca dei materiali usati, decorazione che non vuole essere ornamento, ma parte integrante dell'architettura, in piena filosofia "less-is-more". È questo, a mio avviso il più grande insegnamento di Mies, non certo perché sia stato il primo ad ipotizzare dette teorie, ma perché ne fu maestro ineguagliato.
Considerando quello che doveva essere lo scopo del padiglione credo che sia opportuno guardare alla questione del soleggiamento non come un problema di temperatura, ma dal punto di vista dello sfruttamento della luce. Questa infatti abbaglia la statua che cerca di proteggersi, riflette nella parete e nello specchio d’acqua della corte interna per poi finire convogliata negli ambienti interni.
Il gioco di vedute e scorci è una sorta di trappola emotiva che “costringe” il visitatore a svoltare l'angolo e a curiosare nel nuovo ambiente, dove Mies pone puntualmente un elemento su cui catalizzare l'attenzione: una parete in onice, una statua, uno specchio d'acqua. Anche il mobilio può essere scritto a questo elenco: sebbene da riferirsi al less-is-more non appare discreto o addirittura minimalista, ma si impone sulla scena. Soprattutto la celeberrima sedia Barcellona. Nella sua riconoscibilissima possa plastica appare come se già fosse sottoposta al peso di un uomo. Più che un senso di stabilità comunica una imminente rottura, ma l'imbottitura con la sua soffice leggerezza "istiga" alla seduta. Compromesso che funziona se si considera il successo avuto all'epoca e l'ampio utilizzo che se ne fa ancora oggi, nonostante a mio avviso risulti suscettibile di critiche.
Il repertorio architettonico usato nel padiglione viene quasi integralmente trasferito nelle sue fattezze estetiche in casa Tugendhat, seppure cambiandone il lessico. Dopo tutto, la progettazione di entrambe le costruzioni è contemporanea e potremmo definirle le prove generali per il raggiungimento di una nuova eleganza che non trova la sua ragion d'essere nel logoro linguaggio neoclassico o nella retorica delle colonne e delle cupole. Nulla di nuovo potremmo dire, ma Mies nel padiglione tedesco raggiunge livelli poetici e stabilisce un nuovo traguardo per il De Stijl (forse mai eguagliato).


Bibliografia:

"Storia dell’architettura moderna” di Bruno Zevi
“Architettura contemporanea” di Tafuri
testo di De Fusco

Foto di...

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